Testo del prof.
Marino Niola
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Corrono, piangono, pregano, gridano, strisciano, implorano, imprecano, si gettano
in ginocchio e avanzano fino allaltare. Lì, al cospetto della pietosa Madre
dellArco culmina il concitato e drammatico pellegrinaggio che porta ogni anno, il
lunedì di Pasqua, una fitta, interminabile schiera di devoti scalzi a ripercorrere un
antico itinerario di dolore fino al santuario di Maria Santissima dellArco, a SantAnastasia, dodici
chilometri ad est di Napoli.
Sono i "fujenti", detti anche
"battenti", i devoti dellicona dolente, della
Vergine dal volto ferito: forse la più antica fra le Madonne che sanguinano. E
proprio la ferita, simbolo di un dolore antico, allorigine del primo
miracolo di questa prodigiosa immagine.
I fujenti (il termine in napoletano indica appunto coloro che
corrono) sono scalzi per voto e, sempre per voto, devono compiere di corsa almeno
lultimo tratto del pellegrinaggio, forse in ricordo della corsa frenetica dello
scellerato giocatore ed in espiazione del suo peccato.
I pellegrini vestono ritualmente di bianco, simbolo di purezza, e portano sullabito
una fascia azzurra, il colore della Madonna, chiamata spesso proprio "Mamma
Celeste".
I devoti appartengono agli strati popolari meno garantiti
dal sottoproletariato urbano al popolo contadino di Napoli e delle provincie
di quella che fu la Campania Felix. Sono organizzati in numerosissime associazioni,
capillarmente diffuse sul territorio. La loro devozione consiste essenzialmente nel
correre il lunedì in Albis fino al santuario. Ciascuna associazione il giorno della festa
è rappresentata da una propria squadra detta "paranza", che ha
il compito di portare a spalla un "tosello". Di solito una statua della Madonna
dellArco in trono. La paranza è preceduta da uno o più stendardi che recano il
nome dellassociazione, il luogo di provenienza e la data della fondazione.
Segno visibile dellimpetrazione e delle gratitudine
dei fedeli sono le migliaia di ex voto - i più antichi dei quali
datano gli ultimi anni del Cinquecento che tappezzano le alte pareti del santuario.
Si tratta di una delle maggiori raccolte di arte popolare esistente in Europa: una
ricapitolazione enciclopedica della pietà popolare. Oltre che una preziosa testimonianza
relativa a quattro secoli di storia "minore".
Davanti alla chiesa i volti si fanno improvvisamente tesi.
Il pellegrinaggio assume toni di intensa e dolente drammaticità. E
loltrepassamento della soglia del tempio che, come in un rito antico, immette il
fedele nello spazio sacro e fa precipitare le sue emozioni nei gesti da sempre ripetuti di
una arcaica ritualità. Finalmente, in forme altamente teatrali,
ha luogo labbandono al sacro, la crisi in cui culmina la
lunga corsa dei fujenti.
Da fuori giunge il battito ossessivo dei tamburelli che
accompagnano le "tammurriate" (danze rituali che si svolgono allesterno del santuario), dentro, la
musica si fa grido.
Il rito si avvia così alla sua conclusione e i pellegrini, prima di riprendere la strada
del ritorno, affollano la grande fiera che si svolge nelle vie circostanti, sciogliendo la
tensione devota nellanimazione della sagra.
In queste forme estremamente teatrali ma , al tempo stesso, di intensissima religiosità,
la figura della Madonna ferita, della madre amorosa e dolente, sembra assurgere a simbolo
di protezione delle offese di una sorte e di una società ugualmente ingiuste. E una
sorta di sacralizzazione della maternità che conduce da secoli i battenti a chiedere
protezione e grazia a quella che essi chiamano la Mamma dellArco, o la "Mamma
di tutte le mamme". Rispecchiando nel dolore dellantica ferita della Vergine,
la ferita del loro antico dolore. |