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I Vattienti di Nocera Terinese
 
Testo del prof. Franco Ferlaino autore del libro -Vattienti Osservazione e riplasmazione di una Ritualità Tradizionale - Qualecultura-Jaca Book, Vibo Valentia-Milano, 1991.

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi M. Lombardi Satriani -Lo spazio della festa/Calabria - La festa , Electa 1982

Antonino Basile Il rito del sangue del Giovedì Santo in Nocera Terinese - 1959

Se le festività natalizie, a Nocera Terinese, segnano il passaggio del tempo calendarizzato, passando da un anno vecchio ad uno nuovo, la Festa di Pasqua rappresenta il "passaggio" culturale e morale dell' uomo: dall' uomo che si era all' uomo che si rinnova nella sua crescita. A questo processo partecipa anche la comunità che si rigenera attraverso i suoi riti e i suoi miti.

La manifestazione più importante si svolge il Sabato Santo: un toccante gruppo ligneo della Pietà raccoglie la devozione dei fedeli durante una lunga e lenta processione che si snoda per tutto il giorno attraverso le vie e i vicoli del pese. Molti curiosi, giornalisti, fotografi, cineoperatori, studiosi osservano la cerimonia attratti, prevalentemente, da un rito inquietante che permane ancora alle soglie del terzo millennio, ma la cui simbologia rinvia al mito primordiale del sangue, ai primitivi sacrifici umani, ai successivi riti misterici precristiani che si svolgevano in Medio Oriente e da qui importati in Grecia e a Roma ma anche all' esercizio penitenziale (e spettacolare) dei battenti o flagellanti che si è sviluppato nel medioevo cristiano.
All' improvviso, mentre la banda diffonde marce funebri scelte e le donne cantano meste nenie dialettali, si propaga un brusio e la folla con rapida frequenza si volta verso una croce coperta da nastri rossi svolazzanti che attrae l'attenzione. Ed ecco apparire un vattente o flagellante, un Ecce Homo e un portatore di vino. I primi, seminudi, con abiti rituali, portano una corona di spine.
I tre amici avanzano di corsa fino al cospetto della Pietà i "fratelli portantini" fermano la statua, il flagellante si fa il segno della croce e si genuflette;  poi con trasporto si "batte" i polpacci delle gambe e delle cosce mentre il terzo amico versa vino rinfrescante sulle ferite.
I colpi secchi del sughero della "rosa" echeggiano nell' aria e i vetri del "cardo" vibrano nella carne da cui defluisce copioso il sangue: offerta sacrificale che scorre fino a terra.
Finita la flagellazione l' uomo segna col sangue il petto nudo dell' Ecce Homo e bacia la Pietà; poi il trio si allontana verso altri luoghi deputati alla flagellazione sui sagrati delle chiese, davanti alle croci, ai calvari ed ai "sepolcri" (dove sono deposti i "piatti della Madonna" o Giardinetti di Adone, sulla soglia di qualche casa amica per la quale si nutrono forti sentimenti di gratitudine, alcuni anche davanti al cancello del carcere.
Dovunque restano i segni del liquido vitale e l'odore di questo misto ad un forte tanfo di vino; penseranno il tempo e la pioggia a ripulirli.
I motivi che spingono questi uomini vanno dalla semplice devozione alla Pietà o Addolorata, espressa secondo la tradizione locale, al "voto", o impegno sacro e inderogabile, assunto nei confronti della divinità per impetrare una grazia o ringraziare per averla ricevuta; grazia che riguarda sovente la salute dei familiari o degli amici fraterni dei flagellanti.
Concluso il giro, dopo circa un' ora, i tre amici rientrano nel magazzino da cui sono usciti. Mediante ripetuti impacchi con infuso di rosmarino, bloccano la fuoriuscita del sangue (resteranno visibili le crosticine di sangue coagulato e poi le cicatrici) e, dopo essersi ripuliti e avere indossano abiti festivi, raggiungono la processione; alcuni ritornano a portare la pesante statua, al loro posto di "fratelli" che avevano lasciato temporaneamente vacante.

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